Le multinazionali
L'idea di un'economia mondiale è in qualche modo intrinseca
al capitalismo industriale, che necessita, per sua natura, di un mercato sempre
più ampio per lo smercio dei prodotti.
Per questa ragione, già nei secoli XIX e XX si era assistita a un
progressivo processo di liberalizzazione degli scambi tra i paesi
industrializzati, tramite l'abbattimento delle barriere protezionistiche dei
singoli Stati e la successiva creazione di vaste aree per la libera
circolazione di merci e capitali .
A queste iniziative, che si collocano nella
"globalizzazione commerciale" - ovvero un'espansione a livello mondiale
della distribuzione dei prodotti-, si è sovrapposta nei decenni del XX secolo,
una vera e propria "globalizzazione produttiva ", ossia la tendenza,
da parte delle imprese, ad allentare i legami con lo Stato nazionale di
appartenenza per" frammentare "la propria presenza in varie aree del
mondo.
Le protagoniste di questa tendenza sono le
multinazionali/transazionali, ovvero quelle imprese che possiedono o
controllano attività di produzione di beni/servizi in vari paesi del mondo. Le
prime multinazionali hanno fatto la loro comparsa già nella prima metà del
Novecento: è il caso, ad esempio, della General Motors, l'azienda
automobilistica fondata a Detroit nel 1908.
L'affermazione
decisiva di queste imprese si è registrata, però, solo dopo la seconda guerra
mondiale, quando è cresciuto il loro numero, e soprattutto il volume dei loro
investimenti sul mercato internazionale.
Le società multinazionali operano in tutti i settori
dell'economia mondiale, dalle attività estrattive (petrolio) ai vari rami dell'industria
(automobilistica, alimentare), ai servizi.
Alcune di esse non si specializzano in un ambito particolare, ma
controllano diversi settori del mercato presentando i loro prodotti con marchi
diversi a seconda delle categorie merceologiche interessate.
La maggior parte delle multinazionali si è costituita in
Occidente e nei paesi più industrializzati, ma in tempi recenti è cresciuta
notevolmente la loro presenza anche in Oriente, in particolare in Cina.
La delocalizzazione
Un fenomeno caratteristico dell'economia globalizzata è la delocalizzazione.
Con queste termine si indica la tendenza, da parte di molte
imprese occidentali, a trasferire determinati segmenti della loro attività
produttiva in paesi diversi da quello di origine, nei quali esistono condizioni
economicamente più vantaggiose, ad esempio, un minor costo della forza-lavoro,
una più blanda pressione fiscale o una situazione logisticamente favorevole.
oggi giorno, le aree in cui si indirizzano i processi di
delocalizzazione sono soprattutto i paesi in via di sviluppo (Asia e Africa) e
gli Stati dell'Europa orientale.
Questo fenomeno, inizialmente limitato ai livelli più bassi
del processo produttivo, ha coinvolto gradualmente anche attività più complesse
e più professionalità più elevate: operai e progettisti.
La delocalizzazione della produzione modifica profondamente
la tradizionale divisone internazionale del lavoro, che la civiltà occidentale
industrializzata aveva imposto al resto del mondo durante l'età coloniale: non
più stati che producono beni e altri che forniscono le materie prime, ma una
rete trasversale di sistemi produttivi, in cui le varie attività sono
collocabili teoricamente ovunque, purché l'operazione sia conveniente.
Sulla base di questo principio, la delocalizzazione può
avere effetti benefici, in quanto, abbattendo i costi di produzione, permette
all'impresa di contenere i prezzi di vendita ed essere perciò più competitiva
sul mercato. Inoltre essa crea
opportunità di lavoro nel paese di destinazione, favorendo quindi anche il
miglioramento delle infrastrutture locali e contribuendo cosi potenzialmente al
suo sviluppo economico.
Ma la delocalizzazione porta con sé anche effetti negativi:
In primo luogo, il trasferimento di interi settori produttivi incide
negativamente sulle prospettive occupazionali del paese di origine, sottraendo
posti di lavoro e danneggiando anche il cosiddetto "indotto", cioè il
complesso di attività che un'impresa contribuisce a creare intorno a sé. In secondo luogo, nei paesi dove l'attività è
delocalizzata, la debolezza dei lavoratori si traduce quasi sempre nella
disponibilità ad accettare condizioni di lavoro estreme. Infine, la possibilità
di reperire manodopera a basso Costo costituisce per l'impresa un consistente
strumento di potere anche nei paesi di origine: la minaccia della
delocalizzazione può spingere i lavoratori, anche in Occidente ad accettare
condizioni contrattuali altrimenti ritenute inaccettabili.
La mondializzazione dei mercati finanziari
Accanto ai circuiti di produzione e distribuzione delle
merci, esiste un altro imponente mercato mondiale: quello finanziario,
caratterizzato dalla circolazione di capitali investiti nella compravendita di
valori mobiliari.
I luoghi di queste transazioni sono le borse valori presenti
in tutto il mondo che, collegate telematicamente tra loro in tempo reale,
funzionano per l'appunto come un mercato unico.
Il mercato finanziario è caratterizzato dalla mole impressionante dei
capitali che può muovere e dalla rapidità estrema delle operazioni che vi
avvengono.
Un meccanismo che caratterizza il mercato finanziario è la
speculazione, cioè la presenza di trattative di acquisto e di vendita condotta
al solo scopo di far oscillare i valore dei titoli oggetto di negoziazione e di
ricavare da questo un possibile utile.
Ciò assicura al mercato una grande circolazione di denaro,
ma conferisce ai titoli stessi un valore del tutto fittizio, a cui può non
corrispondere nessuna effettiva realtà.
una forma estrema di speculazione è la compravendita allo
scoperto: lo speculatore compra azioni in gran quantità prevedendo però di
pagarne l'acquisto quando le avrà rivendute a un prezzo più vantaggioso.
Il carattere aleatorio di queste operazioni espone il mercato finanziario a costanti rischi di crollo, capaci di avere effetti devastanti su scala mondiale. L'esempio più recente è stata la grave crisi finanziaria del 2008: a crollare, in quell'occasione, furono le azioni collegate a mutui e prestiti che molte persone avevano contratto con le banche, ma che poi non erano state in grado di onorare.
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