Il Mercato del Lavoro

Il Mercato del Lavoro

Il Mercato del Lavoro



Il Mercato del Lavoro

Si può parlare di mercato del lavoro per riferirsi agli scambi che hanno per oggetto qualunque forma di prestazione lavorativa. Alla base di questo concetto sta un'altra importante acquisizione della modernità, ovvero la nozione di lavoro salariato. Vediamo di capire il senso di questa affermazione.

Per noi può essere un fatto scontato che chi presta la propria opera per una qualsiasi attività riceva in cambio una retribuzione in denaro, che potrà poi spendere, almeno teoricamente, a proprio piacimento. Non sempre, però, è stato così. Lo schiavo antico, ad esempio, appartenendo di fatto al proprietario che l'aveva acquistato, ne dipendeva integralmente, anche per quel che riguardava le condizioni materiali di vita: era il "padrone" a procurargli il cibo, il riparo e ciò che era necessario a soddisfare i suoi bisogni primari. Neanche il servo dell'età medievale riceveva un compenso pecuniario per la sua attività: i prodotti della terra che lavorava, pur essendo in larga parte destinati al signore, erano sufficienti a coprirne il fabbisogno.

Con la fuga dalle campagne avviata dal fenomeno delle recinzioni, si crea invece una situazione differente: si forma infatti un gran numero di lavoratori liberi da rapporti di dipendenza personale, che possono quindi disporre di se stessi e offrire ad altri la propria opera in cambio di un compenso in denaro, con cui dovranno autonomamente provvedere alle proprie necessità. Diversamente dallo schiavo e dal servo, il salariato è quindi un uomo giuridicamente libero, la cui subordinazione nei confronti del datore di lavoro è limitata alla sfera professionale, senza toccare l'ambito della vita privata. Tuttavia egli può lavorare solo a patto che qualcuno gliene offra la possibilità assumendolo e corrispondendogli un salario, ed è inoltre esposto a nuove forme di precarietà: prima tra tutte la perdita del posto di lavoro, che, per chi non possiede altri mezzi di sostentamento, può significare la caduta in uno stato di miseria senza prospettive.


Domanda e offerta

In generale, l'economia politica classica considera il mercato come un sistema regolato dalla legge della domanda e dell'offerta, enunciata dall'economista francese Jean-Baptiste Say.

Secondo questa legge, il prezzo di una merce (ad esempio, un'automobile) varia in proporzione al variare della domanda, fino al raggiungimento di un punto critico in cui si inverte l'andamento. Ovvero: se molte persone sono interessate ad acquistare un certo prodotto, mentre sono poche quelle che lo vendono, il suo prezzo tenderà a salire, tanto da indurre nuove imprese ad avviarne la produzione; ciò porterà a un momento in cui l'offerta di quel bene sarà nuovamente in equilibrio con la sua domanda, il che farà invertire la tendenza al rialzo dei prezzi. Se, viceversa, un determinato prodotto è venduto da molte persone, mentre sono poche quelle interessate a comprarlo, il suo prezzo scenderà fino a quando anche la sua produzione inizierà a diminuire, e questo porterà l'offerta a tornare gradualmente in equilibrio con la domanda, consentendo di nuovo il rialzo dei prezzi.


La legge di Say incoraggia la fiducia in un'illimitata capacità di autoregolazione del mercato, suggerendo l'idea che la via migliore per uscire da una fase di crisi sia qu
ella di lasciare i prezzi liberi di fluttuare verso l'alto o verso il basso, fino a raggiungere un punto di equilibrio soddisfacente sia per chi vende sia per chi compra.
Malgrado i limiti evidenziati nel corso del XX secolo (secondo molti studiosi, ad esempio, la grande depressione del 1929 scaturì anche dalla politica economica adottata nel decennio precedente dai paesi occidentali, i quali, astenendosi da ogni intervento sul mercato, avevano permesso che le imprese agissero senza regole - Teoria Liberista), il meccanismo della domanda e dell'offerta non cessa di esercitare, anche ai giorni nostri, una funzione di orientamento e predizione per nulla trascurabile. Del resto, anche la nostra esperienza di consumatori, per quanto semplice e limitata, ci dimostra che, in periodi di recessione, cioè di calo della domanda, i centri di distribuzione cercano di invertire la tendenza con strategie promozionali di abbassamento dei prezzi; viceversa, quando la domanda è sostenuta, le offerte speciali e i ribassi cessano.



L'atipicità del mercato del lavoro


Per svariati motivi, quello del lavoro si presenta come un mercato sui generis, e alcune semplici riflessioni ci mostreranno perché. Potremmo innanzitutto osservare che, da un certo punto di vista, è


improprio parlare di "vendita" e di "acquisto" della forza-lavoro.
In una normale transazione, ad esempio quando compriamo un libro, il prodotto passa immediatamente e integralmente dal venditore (il negoziante) all'acquirente (noi). Invece un individuo che cede ad altri la propria forza-lavoro non si "vende" totalmente: egli si limita a sotto

scrivere un impegno, che successivamente dovrà onorare.



Secondariamente, mentre l'acquisto di un prodotto da parte del consumatore può essere effettivamente influenzato dal suo prezzo, il reclutamento della forza-lavoro è di fatto indipendente dal costo di quest'ultima. Per spiegarci con un esempio: se l'acquisto di un abito richiede una spesa eccessiva, possiamo decidere, seppur a malincuore, di farne a meno; se invece il prezzo diventa più accessibile,



possiamo valutare l'ipotesi di comprarlo anche nel caso in cui non ne abbiamo propriamente bisogno. Ma con la merce-lavoro la faccenda è più complicata: un'impresa assume nuovi lavoratori non per "consumo" privato, ma perché, prevedendo di poter incrementare la vendita dei suoi prodotti, intende aumentarne la produzione; e parallelamente non assume, o peggio ancora licenzia, quando le vendite calano e non si intravedono possibilità di miglioramento a breve o medio termine. 


Come si "misura" il mercato del lavoro

La complessità e la variabilità del mercato del lavoro impongono a chiunque si accinga a descriverne le caratteristiche principali di munirsi di criteri quantitativi, cioè di "indicatori" che permettano di rilevare come si distribuisce il lavoro all'interno di una società, attuando anche i necessari confronti nello spazio e nel tempo. Il primo indicatore di cui si deve tener conto è rappresentato dalla popolazione in età lavorativa, cioè dalla popolazione di età compresa tra la minima e la massima prevista per far parte del mondo del lavoro (attualmente in Italia, tenuto conto del prolungamento dell'obbligo scolastico, questa fascia è costituita da coloro che hanno un minimo di 16 e un massimo di 70 anni).

In ogni caso, anche considerando la forza-lavoro come una merce alienabile al pari delle altre, la sua compravendita resta atipica. In primo luogo, infatti, la di Say - almeno nella sua interpretazione più rigorosa — prevede che, per l'assestamento tra l'offerta e la domanda di una determinata merce, vale a dire tra la produzione e il consumo effettivo di essa, il suo prezzo di vendita oscilli, senza limiti di tempo né di importo, al di sopra o al di sotto del suo costo di produzione.
Nel caso del lavoro, però, l'oscillazione del prezzo incontra limiti ben precisi: per quanto costretto a vendere la propria attività lavorativa, infatti, un essere umano non può cederla in cambio di una retribuzione inferiore a quella indispensabile per sopravvivere, perché, se lo facesse, giungerebbe ben presto al punto di non essere più in grado di erogare alcun tipo di lavoro. E, allo stesso modo, non può confidare in un rialzo sistematico del salario, poiché questa possibilità è frenata, anche nelle fasi più favorevoli ai venditori di forza-lavoro, da una possibilità pressoché illimitata di reperire nuova manodopera. È la cosiddetta legge bronzea dei salari, formulata da Ferdinand Lassalle (1825-
1864), ma già presente nei testi degli economisti classici, come 'Ihomas Malthus (1766-1834) e David Ricardo (1772-1823). Nel complesso, quindi, essendo limitata la possibilità di oscillazione del prezzo della merce-lavoro (verso l'alto come verso il basso), è altrettanto ridotta la sua capacità di modificare le tendenze della domanda, ovvero, detto in altre parole, la richiesta di lavoro da parte delle imprese.

Per popolazione attiva, o forza-lavoro, si intende invece quella parte della popolazione in età lavorativa che effettivamente lavora o cerca lavoro, in quanto oggettivamente in grado di svolgere un'attività e soggettivamente disponibile a farlo: si tratta, com'è ovvio, di un numero inferiore rispetto a quello della popolazione in età lavorativa, poiché esclude gli studenti, i pensionati, le casalinghe, gli invalidi e, in generale, quanti, per le ragioni più varie, non lavorano, né sono in cerca di un lavoro. All'interno della popolazione attiva, infine, possiamo isolare l'insieme degli "occupati", cioè delle persone che, in un determinato periodo, sono effettivamente in possesso di un lavoro. I dati così ottenuti possono quindi essere messi variamente a confronto, dando luogo ad altri importanti indicatori: 

il tasso di attività, che designa il rapporto percentuale tra la popolazione attiva e la popolazione in età lavorativa; 

il tasso di occupazione, costituito dal rapporto tra il numero degli effettivi occupati e la popolazione in età lavorativa; 

il tasso di disoccupazione, di cui tanto spesso sentiamo parlare, che indica il rapporto tra il numero dei disoccupati e il complesso della popolazione attiva.


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